Chissà perchè era nell’aria che sarebbe toccato a Mirella Barracco, imprenditrice griffata tra cuore della Sila e salotti napoletani, intervenire “nell’affaire” Gigi de Magistris, il sindaco di Napoli che ormai non fa più mistero di iniziare a fare un pensierino alla corsa da presidente in Calabria. Intervenendo in una discussione social a corredo di un pezzo di Mimmo Nunnari su “Domani”, a proposito di colonizzazione a cui sarebbero periodicamente sottoposti i conterranei, Mirella Barracco trova spazio non solo per uno scatto d’orgoglio ma anche per un giudizio sconcertante sul sindaco di Napoli. Gli fa appena appena da sponda Saverio Zavettieri che la precede nel serial su facebook con un serafico «dipende in larga parte dalla Calabria che si fa trattare da colonia, non è un destino inevitabile». Ma siamo, appunto, nel perimetro dei grandi sistemi teologici della politica, in stile Zavettieri che è testa pensante come poche ancora in circolazione e non da oggi. Dopo di che però è Mirella Barracco ad afferrare la “scimmitarra” colpendo in pieno viso, e da una postazione di privilegio anche “napoletana”, il sindaco di Napoli. «Che vergogna per la nostra terra – scrive Barracco a commento ancora del pezzo su “Domani” a proposito dei profeti da altra patria che debbono venire a comandare -. La nostra è una terra di conquista per falliti (e mi riferisco a de Magistris, il peggior sindaco che Napoli abbia mai avuto (!). Non gli resta che venire a rovinarci anche in Calabria…». Con tanto di faccina indiavolata a compimento del terribile post, soprattutto se si considera che la griffe Barracco non è una sigla qualsiasi tra Napoli e Camigliatello, con esperienze e contaminazioni varie nei più prestigiosi perimetri dell’economia del Paese. Un giudizio di quelli che pesano, come si suol dire. Non l’unico, non il primo e probabilmente neanche l’ultimo all’interno di una vicenda, tra Napoli e la Calabria, ancora tutta da scrivere nel centrosinistra conterraneo. Con il Pd già commissariato e con una leadership di coalizione che non si rintraccia stretti come si è tra esigenze romane e periferiche. Da qui “l’irresistibile” tentazione di usare ancora una volta la Calabria come una specie di “stanza di compensazione”, come si chiamavano un tempo le penultime istanze nelle banche prima di mandare gli assegni in protesto. Un angolo, la Calabria, dove si cerca di “svernare” malcontenti e repressioni da fuori regione. Con un unico tessitore da Roma, a dar retta a una lettera al veleno di 5 tra dirigenti ed esponenti calabresi del Pd. Le trame del Nazareno e di Nicola Zingaretti che ieri come oggi, secondo gli scriventi, usano la Calabria come esperimento a perdere al solo scopo di non far toccare palla agli esponenti locali. A tutti gli esponenti locali. Oggi con il tentativo dello “straniero” de Magistris e ieri con l’imposizione di un altro “straniero”, non etnico ma fuori contesto lo stesso, e cioè Pippo Callipo. Evidentemente due corse a perdere e con la sconfitta preventiva come unico sfondo.
La lettera è firmata da Mario Galea (presidente della federazione Pd di Crotone), Massimiliano La Serra (consigliere comunale Pd Monterosso), Ernesto Palma (professore di Farmacologia e dirigente della federazione Pd di Catanzaro), Rocco Raimondo (consigliere comunale Pd di Montalto) e Saverio Russo (consigliere comunale Pd di Cardeto).
Nella lettera a Zingaretti i 5 Pd entrano subito nel merito della indiscrezione a proposito di de Magistris candidato per il centrosinistra con l’avallo (se non la genesi) del Nazareno. E impiegano poche righe per paragonare l’eventuale scelta alla «sciagurata» candidatura di Pippo Callipo a gennaio. «Caro Zingaretti, tutti qui in Calabria – si legge tra l’altro nella lettera – ricordano con una certa mestizia la scena del camice bianco da te indossato nella sua azienda (di Callipo, ndr), finalizzato ad officiarne la sua candidatura in pompa magna. Tutti noi del Pd avvertiamo sulla nostra pelle il seguito di questa malinconica storia: le sue improvvise dimissioni dalle cause sconosciute, a qualche mese di distanza dal trionfale ingresso in consiglio regionale. Gesto incomprensibile che ha lasciato il centrosinistra senza guida e politicamente dissanguato. Per questa folle scelta nessuno ha pagato – concludono i 5 Pd di Calabria -, nessuno si è dimesso, nessuno ha fatto un generico mea culpa nei confronti del Pd e dei nostri elettori. Vediamo infatti gli stessi attori calcare impunemente la scena. Un atteggiamento riservato, appunto, alle colonie d’oltremare, che sarebbe difficile accettare di nuovo…».
I.T.