
di Pino Nano
Si svolgeranno domani alle ore 17 nella chiesa di Santa Teresa a Cosenza i funerali del giornalista Emanuele Giacoia, per lunghi anni Capo della Redazione Giornalistica della RAI in Calabria e per lunghi anni anche Direttore del Quotidiano del Sud.
Se io fossi alla guida della Sede Rai della Calabria proporrei oggi alla Direzione Generale di Viale Mazzini di far celebrare i funerali nel grande cortile del nuovo palazzo Rai di Viale Marconi, perché era quella la sua casa, quella è stata la sua casa per quasi 50 anni consecutivi e in quella casa sono nati i suoi gioielli migliori, che non sono i suoi figli Riccardo Sergio Arianna Antonello o Valerio, ma tutti noi altri che allora ancora ragazzi pendevamo dalla sue labbra e percorrevano questa regione in lungo e in largo come lui ci aveva chiesto di fare.
Se ne è andato ieri notte Emanuele, all’età di 93 anni, li aveva compiuti il 4 marzo scorso, stremato ormai da una malattia che lo aveva costretto ad una lunga degenza in ospedale. Se ne è andato stringendo la mano a Riccardo, con attorno gli altri suoi figli Valerio Sergio Antonella e Arianna. Domani ai funerali ci saranno anche i suoi tanti nipoti, una squadra di ragazzi che ha avuto la fortuna in tutti questi anni di goderselo come nonno amorevole e sempre pronto a correre da loro.
Aveva lasciato la RAI da ormai 25 anni, ma la gente per strada continuava a chiederci di lui. “Dov’è il vecchio Giacoia?”, “Non lo vediamo più, che fine ha fatto?”. Era semplicemente andato in pensione, dopo aver dato alla RAI tutta la sua vita. Letteralmente, lo dico. Tutta la sua vita.
Cordoglio, cordoglio, e ancora cordoglio in tutta la regione per la sua morte. Era stato il mio capo, il mio amico più caro, il mio “principe”. Ho imparato da lui quello che nessun altro avrebbe mai potuto insegnarmi. Aveva una grande dote, era la modestia con cui viveva la sua vita quotidiana e questo suo modo sarcastico ironico e gioioso di prendere la vita. Ma forse la dote più grande e impareggiabile che aveva era la capacità di ascoltarti, dall’inizio fino alla fine, senza mai distrarsi un attimo, lui che apparentemente sembrava un marziano prestato alla professione giornalistica, eternamente sognante, quasi un filosofo dell’ottimismo e della serenità, e che trovava sempre il modo e il tempo per farti sentire al centro del mondo.
Ricordo che entrava in redazione alle otto del mattino e alle nove della sera era ancora lì alla sua scrivania, al terzo piano di Via Montesanto, intento alle sue mille telefonate. Ho trascorso con lui anni nella sua stessa stanza, lui aveva la scrivania accanto a quella di Elio Fata, e io di fronte alla sua, e lui che non faceva altro che parlare con tutto il mondo, di calcio e della sua squadra più amata che era il “Catanzaro Calcio” di Ceravolo Palanca Ranieri Silipo.
La cosa che mi emozionava era sentirlo alla radio, in collegamento dalla Spagna per i mondiali di calcio di quell’anno, una classe, una perfezione, un rigore e una chiarezza che era tipica di un grande maestro del giornalismo parlato.In redazione era un capo meraviglioso, mai uno screzio, mai un conflitto, conosceva l’arte della mediazione come nessun altro, e quando doveva dire di no non conosceva remore. Preciso, informatissimo, sempre perfettamente al suo posto, impeccabile, garbato, soprattutto curioso come ogni cronista di razza dovrebbe esserlo.
Conosceva la Calabria come le sue tasche, l’aveva vissuta e attraversata da cima a fondo quando per andare da Cosenza a Reggio Calabria servivano almeno 5 ore di viaggio in macchina, quando la Calabria era davvero l’ultimo fanalido di coda del mondo. Eppure lui, in televisione o alla radio, riusciva a raccontare questa terra meglio di tutti noi- mi raccontava quel leone della carta stampata che era Franco Martelli- una terra che alla fine era diventata anche la sua, con una dolcezza e un senso di umanità davvero impareggiabili.
Riverito, ammirato, corteggiato, forse anche invidiato per questo suo portamento elegante e quasi regale che aveva, ma Emanuele Giacoia è stato una icona del giornalismo, non solo calabrese. Basterebbe rivedere o riascoltare le sue mille telecronache per capire che lui era uno dei privilegiati del team leggendario di “90 esimo minuto”.
Addio Emanuele. Lavorare con te è stato molto bello, ma questo te lo riconosco tutti i nostri vecchi compagni di gioco e di lavoro. Dico “compagni di gioco” perché quando tu eri a lavoro sembrava si giocasse tutti insieme al più bel gioco del mondo.
Sentivo l’altroi ieri in televisione l’ulimo saluto che Alberto Angela dava a suo padre, vorrei dire che come Piero Angela aveva fatto con il figlio anche tu ci avevi abituato a crederti immortale. Ma mentre Piero Angela aveva spiegato ad Alberto che il mistero della morte in realtà è la cosa più scontata e più naturale della vita, tu invece continuavi a tenerci per la corda dandoci sempre appuntamento al tuo prossimo compleanno.
L’ultima torta che Riccardo ti ha fatto preparare per i tuoi 90 anni aveva questa scritta “Arrivederci ai prossimi dieci”. E tutti noi eravamo convinti che tu avessi suggellato con la morte un patto segreto, e invece te ne sei andato via in silenzio in piena estate, senza dare fastidio a nessuno, per come avevi vissuto tutto il resto della tua vita.
Un gran signore ci lascia per sempre, “gran signore” ti chiamava così il vecchio preside Domenico Nano, che era stato per anni un tuo ammiratore sfegatato e riservatissimo.
La gente comune, non sapeva dirci altro, i senza nome, gli ultimi della società, i quartieri più poveri, i diseredati, solo a quello Emanuele sapeva pensare al mattino quando doveva mettere in piedi la scaletta del suo telegiornale. E così ha fatto, mi dicono, quando dopo la Rai è andato a dirigere Il Quotidiano del Sud, anche lì la stessa classe, lo stesso stile, lo stesso rigore, e soprattutto il rispetto assoluto per la società che aveva attorno.
Se ne va con lui un grande cronista, un maestro del giornalismo, il padre putativo di tutti noi che in Rai abbiamo trascorso una vita intera. Non so che dirti di più Emanuele.
Anzi, sì, una cosa da dirti c’è l’ho ancora: oggi non sarà ai tuoi funerali, mi piace ricordarti come ti ho sempre conosciuto e vissuto, con questa tuo sorriso ironico e questa tua aria bamboleggiante,da perfetto compagno di strada e di vita, geniale e visionario, poeta e fisolofo, e venendo da te oggi troverei solo una bara di legno senz’anima. Non posso accettarlo.
Tu avevi un’anima che non morirà mai, almeno per me, e voglio portarti dentro di me sorridente e sereno come lo sei in questa foto che Santo Strati ha scelto per questo giorno così importante della tua nuova vita.