Uno o più provvedimenti che saranno esaminati e varati nel corso del Consiglio dei ministri di giovedì a Cutro, dieci giorni dopo la tragedia. Si parte da norme più severe a carico degli scafisti ma il ventaglio si annuncia decisamente ampio. Secondo quanto si apprende l’obiettivo (anche mediatico, a questo punto) sarebbe quello di agevolare la migrazione regolare con una semplificazione delle regole sugli accessi. Quindi “cordone” leggermente più allentato in ingresso nel contesto di un clima complessivamente più sereno, questo almeno l’obiettivo principale. Al pari, evidentemente, di un inasprimento delle azioni di governo contro gli scafisti non solo e non tanto nel momento della cattura quanto con vere e proprie azioni preventive e di polizia. Dovrebbe anche essere ridisegnato il confine dei protocolli tra ministero degli Interni e del Trasporti al momento del primo intervento in mare, troppo calda la ferita sanguinante della “consegna” a ping pong di Cutro tra un protocollo di polizia per respingimento (senza che ve ne fosse necessità) e uno Sar (di salvataggio) che non è mai scattato salvo per contare salme in riva al mare. In questo senso la predisposizione a ingressi più regolari nel contesto di un clima da leggero “allentamento” generale dovrebbe ridurre il perimetro e i parametri per gli interventi di polizia, come è noto in capo al ministero degli Interni.
Niente da fare invece, secondo quanto trapela, per i format classici dei decreti sicurezza così tanto cari a Matteo Salvini. Che in qualche modo avrebbe voluto riproporre. Giorgia Meloni e i suoi ministri più “vicini” avrebbero virato con nettezza verso una fase diversa, più da transizione e da clima da ricostruire in auspicata serenità. Più d’uno, per farla breve, avrebbe fatto notare che presentarsi a Cutro (con le bare ancora a terra) con i decreti sicurezza da approvare avrebbe avuto il senso della tanica di benzina sul fuoco. Che già arde di suo e non è per niente circoscritto. La tensione è infatti molto alta a Cutro e a Crotone, ne abbiamo in qualche modo prefigurato timori in un retroscena di martedì circolante in Parlamento. Per sabato è prevista una manifestazione con sindacati, movimenti e associazioni nel mentre resta più che tesa la vicenda delle salme da far rientrare, auspicabilmente in patria secondo il volere della stragrande maggioranza dei parenti delle vittime. Ma lungaggini burocratiche stanno tenendo a “bagno maria” le bare e il relativo clima surreale a Crotone finché ad un certo punto, d’imperio e probabilmente per motivi di sicurezza in vista del Consiglio dei ministri di giovedì, il Viminale dispone il trasferimento collettivo dei feretri a Bologna (dove c’è un cimitero musulmano) in virtù della disponibilità del presidente dell’Emilia Bonaccini e del sindaco Lepore. Il tutto senza informare minimamente la prefettura di Crotone che al momento dell’avviso di trasferimento era totalmente all’oscuro. È scattato un sit-in di protesta dei parenti delle vittime, prevalentemente pacifico e dai toni bassi. Non sufficiente però a far azionare la revoca del provvedimento del Viminale che invece è arrivata nelle prime ore del pomeriggio per doppia rimostranza istituzionale, un vero e proprio caso nel caso e tutto politico. Non solo infatti la prefettura di Crotone era all’oscuro, e ha protestato, ma anche la Regione Calabria che aveva offerto la tumulazione temporanea delle salme nel cimitero di Tarsia, in attesa ovviamente del completamento delle pratiche di espatrio. Né prefettura né Cittadella informati della decisione d’imperio del Viminale che è stato costretto (per ragioni politiche) alla retromarcia tempestiva. Andrà nel cimitero musulmano di Bologna la salma che avrà incassato il consenso dei parenti, al momento 14. In mancanza di questo consenso si resta senza tumulazione e nel limbo della terra di mezzo di Crotone. Tra proteste, surreali angosce, paradossi indicibili e un Cdm con lo “sbarco” di Meloni (10 giorni dopo) lì dove si sono contati i morti che son morti ancor prima di sperare d’essere salvati. A pochi metri dalla riva…
I.T.