Cara Mara ti scrivo (e ti dico…)

L'esegesi della lettera di Pittelli al ministro Carfagna nasconde non pochi elementi inquietanti. A partire dalla scelta del “destinatario” della missiva. Testo che è valso, da solo, l'aggravamento della misura cautelare per l'ex senatore ora rispedito in carcere

Cara Mara ti scrivo. E ti dico, o probabilmente dirò. A te o a chi mi chiederà. Presto o tardi. Dipende da chi arriva prima…
Non è racchiuso in una bottiglia abbandonata in mare il messaggio in codice di Giancarlo Pittelli. Ma in una lettera finita nell’unico posto dove non doveva finire, per Pittelli e per il resto della “compagnia”. E cioè sul tavolo di Gratteri.
Non è dato sapere se “Mara” ha mai letto almeno le prime righe della lettera o se in “esternalizzazione” ha fatto solo aprire la busta con i guanti iperbarici da qualcun altro. Avendo però ben inteso da dove e da chi e perché è partita la lettera.
Già, ma perché a “Mara”? Perché Giancarlo Pittelli nell’angolo più buio della sua (poco) disperata autocoscienza prende carta e penna e scrive al ministro Carfagna? C’è della sostanza dietro, del retaggio, delle vecchie e inossidabili confidenzialità o c’è piuttosto il totem Carfagna, il ministro giovane e potente e soprattutto rappresentativo della regnanza attuale di Forza Italia, a Roma come a Catanzaro?

«Cara Mara, non potrei avere rapporti di corrispondenza con nessuno ma ti prego di credere che sono ormai disperato» scrive Pittelli, “l’uomo nero” secondo la distrettuale di Catanzaro. L’uomo che a furia di stare nel mezzo tra grigio e nero li avrebbe sopraffatti entrambi, i colori, inventandone uno di suo, sopra tutto e sopra tutti. Un livello nuovo di crimine (secondo la Dda) capace di influenzare consorterie, dinamiche, sentenze, processi evolutivi di una delle più potenti e raffinate cosche di ‘ndrangheta, quella capitanata dal fine Luigi Mancuso. Non solo un clan, non solo una cosca e non solo un induscusso capo, Luigi Mancuso. Ma con ogni probabilità il “ministro degli esteri” di tutte le cosche di Calabria, il più raffinato e senza confini. Pittelli, sempre secondo la Dda di Catanzaro, avrebbe fatto l’avvocato, il consulente, il confidente, lo stratega per “Luigi”. Dentro e fuori il perimetro familiare. L’uomo, l’avvocato, lo stratega, il colletto di platino che porta in studio Luigi Mancuso dopo aver pranzato o cenato a casa sua. Residuale e scontato il contatto politico. Tutti, chi più chi meno, a passare da quelle parti per 20 anni con Pittelli che non avrà fatto alcuna fatica a riconoscere nomi e volti di governanti e portaborse. Del passato, del presente e persino del prossimo futuro.
Da qui la lettera a “Mara”, solo fintamente disperata. Della serie, se fai ancora in tempo per il bene di tutti fai qualcosa…
«Sono detenuto in ragione di accuse folli formulate dalla Procura di Gratteri ed asseverate dalla giurisdizione asservita» scrive ancora Pittelli. «Ti chiedo di non abbandonarmi perché sono un innocente finito nelle grinfie di folli per ragioni che rivelerò alla prima occasione». Poi cenni di stragegia…«Una nuova istanza verrà presentata nel merito e anche un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sbarbi proporrà quale primo firmatario». E cenni di difesa giudiziaria…
«L’accusa di concorso esterno rimasta in piedi nei miei confronti consisterebbe nell’avere rivelato ad esponenti della cosca di ‘ndrangheta denominata Mancuso il contenuto dei verbali secretati delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella. L’indizio sarebbe rappresentato dal contenuto di una conversazione captata nel corso della quale, il 12 settembre 2016 io, interloquendo con un cliente, ho affermato: ‘dice (dicunt) che ha scritto (il pentito) una lettera alla madre” e che accusa il fratello. La Cassazione che come sai meglio di me è il giudice del provvedimento e non di merito ha preso atto del fatto che dalla lettera scritta dal pentito alla madre, i quotidiani calabresi ne avevano già parlato alcune settimane prima del 12 settembre 2016. Di contro ha ritenuto efficace il riscontro costituito dall’affermazione circa le accuse mosse nei confronti del fratello: fatto che avrei potuto apprendere soltanto dalla lettera dei verbali non ostesi. L’accusa nei confronti del fratello è fatto che si è verificato effettivamente alcuni mesi dopo il 12 settembre 2016, e, dunque vi è la prova in atti che la mia, altro non era che la corretta lettura di una previsione agevolissima da compiere, attesa la caratura criminale della famiglia del collaboratore».
Ad un certo punto Pittelli va all’attacco degli inquirenti sul piano tecnico… «C’è la prova della manipolazione di un’altra captazione ambientale. Nel novembre 2016, infatti, nell’ultima interlocuzione avente ad oggetto le dichiarazioni del pentito, io affermo di non poter dare consigli in quanto “non sappiamo cosa dirà costui”». Gli inquirenti avrebbero aggiunto alla frase l’avverbio “ancora”.
Poi l’appello vero e proprio, a metà tra disperazione e messaggio in bottiglia in mezzo al mare…«Aiutami in qualunque modo, io vivo da due anni in stato di detenzione, finito professionalmente, umanamente e finanziariamente».
«Tutto ciò non è giusto. Non sono stato interrogato dai pm, né dal gip dopo essermi avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia. Non avevo avuto il tempo di leggere le 30mila pagine di ordinanza e richiesta». Ringrazia Mara «per quanto potrai fare» e poi le lascia il numero di sua moglie «per eventuali comunicazioni», specificando che le telefonate del ministro sono tutelate «anche se… talvolta qualcuno se ne dimentica di proposito».
Stop, fine della lettera solo fintamente disperata. Col messaggio avvelenato in bottiglia. A “Mara” perché tutti intendano, finché si fa in tempo.
“Mara” non dirà mai neanche a se stessa se ha solo aperto la lettera, o l’ha fatta aprire con guanti iperbarici. Il testo finisce all’ispettorato di Pubblica sicurezza di Palazzo Chigi e poi alla Squadra mobile di Catanzaro. Da qui il passaggio alla scrivania di Gratteri è un niente. Così come meno di niente, per la Dda, è chiedere e ottenere la recrudescenza della misura cautelare per Pittelli, dai domiciliari al carcere e senza mai uscire di casa né chiamare nessuno. “Solo” scrivendo una lettera. Evidentemente non scritta a caso, non inviata a caso e non contenente concetti espressi a caso. «Pittelli manifesta la precipua finalità di incidere sul regolare svolgimento del processo, in cui è ancora in corso la complessa istruttoria dibattimentale, consistente, tra l’altro, nella trascrizione peritale di un compendio intercettivo corposissimo e nell’escussione di centinaia di testimoni» scrivono i giudici del Tribunale di Vibo che lo rispediscono in cella su richiesta della Dda di Catanzaro. La misura degli arresti domiciliari si è dimostrata «del tutto inidonea a fronteggiare le persistenti e, anzi, aggravate esigenze cautelari».
Una lettera che è valsa più di un tentativo di fuga. A Pittelli è bastata la penna per tornare in carcere. In verità, con la penna, cercava di introdurre la “parola”. Mara Carfagna non lo ha capito, o non lo ha voluto capire. Nicola Gratteri sì invece…
I.T.