Sanità, il gran rifiuto di Minniti e il caso Mastrobuono

Il presidente degli anestesisti e rianimatori calabresi non s'è fatto convicere da Longo, per lui era pronta la poltrona del Pugliese-Ciaccio di Catanzaro. Sullo sfondo poi c'è la guida dell'Annunziata di Cosenza con le polemiche "laziali" attorno alla manager individuata dal commissario per il dopo Panizzoli. Sempreché il governo non faccia saltare nomine e banco perché Spirlì non firma e si mette di traverso...

Il commissario “super poliziotto” Longo c’ha provato subito a calare un “asso”. A stupire con effetti speciali. Ma non immaginava di incassare un gran rifiuto, inatteso e pungente.
È quello di Domenico Minniti, presidente dell’associazione anestesisti e rianimatori calabresi e primario del blocco operatorio al Grande ospedale metropolitano di Reggio. Per lui Longo aveva pronta la poltrona del comando dell’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, il principale hub della regione non tanto per utenza quanto per servizi e forniture. Un nome forte, competente ed espositivo per la guida del principale ospedale regionale ma Minniti non ha accettato (Longo poi per il Pugliese ha “ripiegato” su Procopio). Non è dato conoscere al momento le ragioni alla base del gran rifiuto ma certo è che non dev’essere stato un colpo semplice nella “scaletta” preparata (in gran solitudine) dal commissario Longo. Minniti tra l’altro negli ultimi tempi è diventato anche volto mediatico di riferimento in epoca pandemica, con apparizioni nella trasmissione “Titolo V” che come è noto è il format che ha silurato Cotticelli e creato le condizioni per “l’autoeliminazione” di “Maria” Crocco.
In una delle “apparizioni” di Minniti in trasmissione celebre è diventata la sua “sentenza” nel descrivere la foto di Calabria in tempi di Covid. «I posti letto di Terapia Intensiva sono 114 – 115, 146 è il numero di posti letto di Terapia Intensiva che la Calabria avrebbe dovuto avere, ma c’è un piccolo problema: manca il personale…Chiudersi in trincea potrebbe essere una soluzione. Neanche un fiume di denaro salverebbe la Calabria, manca il materiale umano. Noi non abbiamo anestesisti per garantire l’assistenza a 280 pazienti critici e soprattutto non abbiamo gli infermieri di area critica».
E se per il Pugliese Longo ha dovuto incassare il gran rifiuto di Minniti non è detto che per l’Annunziata di Cosenza, l’hub che deve servire l’utenza maggiore, la strada sia solo circondata da rose senza spine. Per questa poltrona pesante e prestigiosa il commissario Longo ha individuato Isabella Mastrobuono, manager non di primo pelo e di sicura esperienza. Una di queste però, nel Lazio, ha fatto rumore, rumore assai. Nell’autunno del 2015 è direttore generale dell’Asl di Frosinone ed è addirittura in corsa per andare a dirigere lo Spallanzani ma il presidente della Regione Nicola Zingaretti letteralmente la “silura”. La fa fuori. Per una ragione secca e semplice, non ha raggiunto gli obiettivi aziendali all’interno dell’Asl e l’organismo indipendente di valutazone l’ha sonoramente bocciata. Ma gli obiettivi da raggiungere, secondo Mastrobuono, sarebbero stati inseriti in corso d’opera dalla Regione e dall’Asl e non sarebbero stati presenti al momento della sottoscruzione del contratto. Ne nasce un contenzioso giudiziario vinto da Mastrobuono che ottiene dal tribunale del Lavoro di Roma la condanna nei confronti della Regione Lazio al pagamento, nei suoi confronti, di 250mila euro. Una sentenza basata sul danno all’immagine che il giudice ha sentenziato a favore della Mastrobuono, ritenendo colpevole la Regione Lazio di aver posto in essere «un comportamento contrario a correttezza e buona fede» e «cagionato un danno ingiusto ponendo in essere un comportamento colposo quanto negligente».
La rimozione della Matrobuono ha avuto come conseguenza il pagamento da parte della Regione Lazio degli stipendi a due direttori generali, il manager rimosso e il commissario che l’aveva sostituita. Il giudice sottolinea nella sua decisione «L’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione nell’aver dato prevalenza nella valutazione ad un obiettivo non inserito inizialmente nel contratto con ciò sottolineando la mancanza di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto».
Il giudice, infine, per la quantificazione del risarcimento ha tenuto conto del danno all’immagine della Mastrobuono. La diffusione «della notizia tramite articoli di stampa, il contenuto dei medesimi in cui si riportava la valutazione negativa dell’organismo indipendente di valutazione, la posizione sociale della ricorrente di Direttore generale dell’Asl di una realtà di provincia come quella di Frosinone, candidata alla Direzione Generale dello Spallanzani, sono elementi sufficienti a far ritenere provato il danno all’immagine essendo discreditata la figura della ricorrente agli occhi della società. Né può rilevare il conferimento degli altri incarichi, i quali non eliminano la lesione all’immagine avuta dalla ricorrente a seguito del comportamento della Regione».
Non una “spina” semplice nel fianco di Longo, il caso Mastrobuono. Anche perché, sentenza del Giudice del lavoro a parte, ha lasciato al seguito polemiche e “inimicizie” politiche senza per altro aver mai chiarito fino in fondo se quegli obiettivi dentro l’Asl di Frosinone, presenti o meno al momento della stipula del contratto, non sono stati conseguiti dalla manager e perché. Ma tant’è. La lista dei 7 al comando delle aziende di Calabria è pronta anche se Spirlì ha fatto letteralmente finta di non riceverla. Non ha condiviso praticamente nulla di queste nomine e non farà altro che esibire orecchie da mercante. Il decreto Calabria formulazione “remake 2”, la vendetta, parla chiaro. Le nomine, preferibilmente, debbono essere condivise tra commissario e governatore in caso contrario sarà il governo a procedere. Prendendo atto della rosa di Longo, certo. Ma anche no, se necessario…

I.T.