Dopo la e.Surv, società di Catanzaro proprietaria del software Exodus, potrebbe toccare ad altre società finire nel mirino delle richieste della procura di Napoli. Ad iniziare dalla Stm, società che si è occupata della commercializzazione dello stesso programma di intercettazioni “insicure” quando “illegali” del tutto. Non a caso i magistrati napoletani stanno lavorando sui flussi finanziari attorno alla vendita del software e sui rapporti tra fornitore e committenti. Che in gran parte, come già evidenziato in altre occasioni dalle prime indiscrezioni attorno a questo esplosivo fascicolo, si tratta di uffici di procura e quindi poi di polizia giudiziaria. Exodus, infatti, ha trovato spazio in questi anni in diverse procure della Repubblica che lo hanno regolarmente contrattualizzato come programma per le intercettazioni più sofisticate e importanti. Si tratta di uffici giudiziari sparsi in giro per il Paese ma anche in Calabria. Si indaga anche, ma qui il discorso investigativo si complica e non risiede più a Napoli ma a Salerno e per altre competenze, sul possibile traffico di influenze attorno all’acquisto di questo programma nonché sull’uso spregiudicato del software nell’intercettare (al di fuori di regolari fascicoli d’indagine) figure prestigiose della magistratura e della politica.
Relativamente all’inchiesta di Napoli (è stato chiesto un terzo arresto che il gip non ha concesso) ci si concentra sulla capitalizzazione di informazioni intercettate anche quando non era il caso che venissero intercettate. Il complessivo e famoso migliaio di persone finite nel mirino degli “spioni” degli uffici di procura non sempre, o in minima parte, a causa di inchieste regolarmente aperte. Informazioni poi finite in un server del tutto insicuro e non protetto e peraltro situato negli Stati Uniti. E proprio sulla totale non custodia delle informazioni anche illegalmente captate sta indagando anche la procura di Roma, guidata da Giuseppe Pignatone. Che ha gettato l’occhio su di un ulteriore e inquietante aspetto, l’acquisto dello stesso software “pericoloso” da parte dei servizi segreti italiani. Che ad un certo punto lo avrebbero preferito ad altri (su segnalazione dei vertici dei servizi a loro volta con buoni uffici nel ministero con delega) per dei monitoraggi delicatissimi antiterrorismo, anche in Libia. Un lavoro complesso e riservatissimo che i vertici dei servizi volevano “affidare” ad Exodus. Pignatone indaga sul pericolo che l’insicurezza di Exodus abbia potuto o possa rappresentare per i servizi segreti italiani, e per il Paese intero. Appunto a causa del server negli Usa (indifeso) accessibile a tutti purché dotati di password. Una parziale rassicurazione sarebbe pervenuta al procuratore capo di Roma dopo un delicato interrogatorio con uno dei vertici dei servizi ai tempi dell’appalto di Exodus. Il quale avrebbe ammesso che il software è stato acquistato ma di fatto mai usato, mai messo in funzione. Chissà perché, e chissà però perché nel frattempo è stato regolarmente pagato. Anche questo Pignatone vuol capirlo, così come racconta una inchiesta de “l’Espresso”.
I.T.