La Dna indagherà sulle intimidazioni subite da Bonfà

Dieci giorni fa l'ennesimo danneggiamento ad opera delle vacche sacre. Danni per un milioni di euro. Ma dietro alle intimidazioni oltre alla 'ndrangheta ci sarebbero i servizi deviati

Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia

Dopo l’ennesimo raid della mafia dei pascoli costata a Bruno Bonfà, imprenditore agricolo della Locride,  la perdita di 1500 alberi tra Bergamotti e Ulivi per una danno stimato intorno al milione di euro,  le sue denunce sono state accolte dalla Procura Nazionale Antimafia.

E’ dal 1991, anno in cui fu ucciso il padre Stefano Bonfà, che  l’imprenditore denuncia continui danneggiamenti e vessazioni da parte della ‘ndrangheta fiancheggiata da presunti servizi deviati.

D’ora in poi ci sarà una forte attenzione da parte della Dna. “Le mie affermazioni, le circostanze, i fatti da me denunciati sono di rilevante gravità, in tutte le implicazioni. Poi ci sono aspetti che  – ha dichiarato Bruno Bonfà – sono ancora coperti dal segreto istruttorio e di cui non posso parlare per ora”.

E’ un bene che la procura nazionale antimafia abbia finalmente posto l’attenzione alle denunce di Bonfà, troppe questioni irrisolte legate da un unico filo conduttore: la ‘ndrangheta.

A questo filo nero si legano a doppio nodo l’omicidio del padre, i sequestri di persona e  le vacche sacre.

Dopo denunce è arrivato il tempo delle risposte.

 

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