Diana ha ventun anni e i capelli neri, lunghi. Studia fashion design in un’università di Milano. Solo quando è salita al Nord, ha iniziato una vita nuova in ateneo, ha gradualmente dato un senso “a quel disagio che mi accompagnava”, ha lentamente compreso “che cosa mi era successo al liceo di Cosenza e che cosa mi aveva fatto quel professore di Matematica e di Fisica. A me e a decine di altre ragazzine”.
Partiamo dal professore, Diana. Che persona è il docente che oggi lei, e le studentesse in corso del Valentini-Majorana, accusate di avervi molestate?
“Un uomo brillante, arguto, un insegnante capace e interessante. E, purtroppo, una persona vicina alla mia famiglia. Era stato compagno di università, a Cosenza, di mio padre e l’ho sempre vissuto come un adulto vicino. Quando l’ho ritrovato, in seconda superiore, ero contenta. I suoi commenti sfrontati, perché è stato subito sfrontato, nei primi tempi li ho considerati complimenti. Ero piccola e poco strutturata per capire il significato profondo di quelle parole. E l’ambiente, quel mondo scolastico maschilista, certo non mi aiutava”.
Vuole ricordare che cosa le diceva in classe il professore di Matematica, alla fermata del bus?
“Se portavo i capelli con la coda alta, mi chiamava bella cavalla e diceva che aveva voglia di galoppare. Faceva continui commenti sul mio seno, il mio culo, la mia vita sessuale. O quella che lui immaginava con me. Ogni spunto della lezione era un’allusione pornografica. Dal secondo al quarto anno quel docente ha perpetrato una costante violenza nei confronti miei e delle mie compagne. Nessuna di noi, immerse com’eravamo nella cultura sessista di quella scuola, ha davvero pensato potessero essere violenze”.
Oltre alle parole sconce, ci sono stati anche contatti fisici?
“Sì, cercava spesso l’abbraccio, con la mano morta provava a toccare il seno. A me, ad altre”.
Ha mai parlato di tutto questo con i suoi genitori?
“Ero bloccato dal fatto che li conoscesse, e dal fatto che non riuscivo a distinguere tra porcherie e galanterie. E’ la cosa che mi fa più rabbia ancora oggi: una persona che conoscevo, una persona così intelligente”.
Quando ha preso coscienza che quelle erano state violenze?
“Vede, in quinta andai dalla preside perché avevo subito una violenza da un compagno di scuola con cui mi ero fidanzata. Aveva diffuso un nostro video, intimo. Chiesi aiuto alla preside e lei mi rise in faccia. Mi disse che mia nonna, che lei conosceva, non avrebbe apprezzato i miei comportamenti. Non avrei potuto raccontare quello che faceva in classe il professore a una dirigente così. La maturazione è avvenuta a Milano, in ateneo. Ho preso a frequentare ragazze più grandi di me, poi un collettivo femminista. Mi hanno fatto capire che tutto ciò che una donna subisce, tutto ciò per cui non è consenziente, è violenza. Oggi questo concetto è dentro di me e mi ha fatto rivedere la mia vita adolescenziale. Oggi, sì, sono una femminista”.
E con questa nuova consapevolezza ha pensato di poter aiutare le compagne più piccole?
“Sì, quelle violenze sessuali non erano finite, il professore non aveva mai smesso. Dovevo fare qualcosa e allora ho costruito una pagina Instagram, il Callout, in cui ho raccontato il mio pregresso. In poche ore sono arrivate le altre testimonianze”.
Lei si è scagliata contro la preside, e ora lo fanno anche le studentesse del quinto anno.
“La dirigente Iolanda Maletta, è un fatto, ha tenuto tutto a tacere per la buona immagine della scuola. In nome dell’istituto che per diciassette anni aveva fatto crescere, ha nascosto il pestaggio selvaggio di un ragazzino e tutte le denunce ricevute sulle molestie del professore di Matematica. A una studentessa di prima che andò nel suo ufficio con i genitori, la storia del ricatto sulla foto del seno, promise che avrebbe girato tutto alla Procura della Repubblica. Non l’ha fatto. Si limitò a sospendere il prof per un mese, poi a cambiargli plesso. Passò dal Valentini al Majorana, lo stesso edificio. Aveva offerto al professore di Matematica nuove prede e le vecchie continuavano a incontrarlo in corridoio”.
Perché non vi siete ribellati prima a una preside che ora definite una dittatrice?
“Chi ci ha provato, a partire dai rappresentanti d’istituto, è stato bocciato. Con me non poteva, avevo la media del dieci”.
Da Repubblica a firma di Corrado Zunino