«Io ho parlato con Speranza, io gli sto facendo la casa a Roberto a Roma, ho un rapporto proprio diretto…».
Francesco Piro non sa, o forse poco gliene importa, che è intercettato quando al telefono rassicura l’interlocutrice che la strada intrapresa è quella perseguibile (la ristrutturazione dell’ospedale di Lagonegro e non la costruzione di uno nuovo, con fondi probabilmente disponibili). E così il capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale in Basilicata, arrestato nei giorni scorsi su richiesta della Dda di Potenza, va anche oltre al telefono nella “distribuzione” di certezze in materia di sanità. «Perché se tu oggi – ancora intercettato nelle parti poi transitate in ordinanza – continuavi sull’idea del nuovo ospedale il ministero ti diceva “va bene”… Io ho parlato con Speranza, io gli sto facendo la casa a Roma, ho un rapporto proprio diretto, dice: “oggi per com’è la norma”. E lo sai cosa ho chiesto a Roberto una sera a cena eravamo io lui e mia moglie…».
Lo sa lui, Francesco Piro, cosa ha chiesto a Speranza. Lo sa ovviamente Speranza stesso così come, magari, i carabinieri e i magistrati della Dda ma non è presente nell’ordinanza del gip alcun seguito così come va ampiamente sottolineato che il ministro della Salute non risulta assolutamente indagato in questa faccenda. Almeno per ora. Così come non è per niente indagato un pm in servizio a Lagonegro (con importanti trascorsi d’ufficio a Paola) che nelle diverse interlocuzioni (non dirette) appare consolidato nelle frequentazioni con Francesco Piro. Del resto nell’ordinanza non è per niente trascurabile la parte in cui proprio Piro si vanta di avere coperture importanti in procura, persone di fiducia, che costringono il gip a ritenere «emersa in maniera inequivocabile la capacità del Piro di ottenere informazioni giudiziarie riservate su fascicoli penali». Il gip cita in particolare un’informativa redatta dai carabinieri non più tardi di 2 settimane fa in cui si parla di «ricorrente fuga di notizie grazie ad entrature presso uffici giudiziari per la cui individuazione sono in corso i conseguenti e necessari accertamenti».
Lo scenario del resto, sempre secondo il gip, è «allarmante» perché si ipotizza di «creare artatamente eventuali incompatibilità ambientali con i magistrati di questo distretto che stanno svolgendo indagini». In particolare si fa riferimento ad un progetto di Piro e cioè di «far intervenire direttamente membri del Consiglio superiore della magistratura ed ancora di effettuare una mirata attività di dossieraggio nei confronti di magistrati titolari di procedimenti penali nei quali risultano indagati attraverso la redazione di esposti anonimi ed atti delatori indirizzati a redazioni giornalistiche».
Giustizia e informazione, del resto, sono un “chiodo fisso” per Francesco Piro. Che nel maggio del 2021 invita pubblicamente Palamara (a corollario della presentazione del libro in Basilicata) alla formazione di un movimento «con al centro una grande riforma della giustizia». E chissà se c’è sempre la giustizia da riformare (o da “aggiustare”) quando intercettato parla di informazione e della necessità di impiantare o condizionare un organo di informazione pur di guidare percorsi politici e non, «posso farlo con un quotidiano locale, qui. Non l’ho mai fatto ma posso farlo…».
Giustizia, informazione, ma anche violenza (forse non solo verbale) nell’incedere di Francesco Piro. Che all’occorrenza disvela tutta la sua potenziale “calabresità”, con tanto di pistole puntate in testa a chi non si ravvede.
Da quanto emerso dall’inchiesta della Dda di Potenza, e così come riportato dal gip nell’ordinanza, Piro non faceva mistero nelle sue conversazioni di poter anche contare su “rapporti” più o meno diretti con la criminalità organizzata calabrese. Dettagli emersi ancora nel corso di un dialogo intercettato nel suo ufficio e nel corso del quale descrive alcuni passaggi legati alle elezioni comunali svolte a Lagonegro. In quella circostanza, racconta Piro, diventa necessario creare una “lista civetta” con alcuni parenti perché «(…) dovevamo raccogliere 60 firme e io le autenticai… poi l’hanno ricusata, una di quelle là, che poi mi ci sono litigato (…) ha fatto denuncia, tutti in Procura». E spiega ancora: «Nove persone su sessanta hanno detto che la firma non era loro. Mi chiamano in Procura l’altra mattina: indagato per aver autenticato firme false, devo fare l’interrogatorio domani pomeriggio con l’avvocato». È da questo episodio che esplode la rabbia incontrollata e violenta di Piro, esaltando con una certa spavalderia anche i rapporti e i legami della moglie. «Io li faccio piangere! Mo devi stare, devi stare! Poi posso adottare tutti i sistemi che voglio, che sanno soprattutto chi è, da dove arriva mia moglie, lo sanno bene di dov’è!». «Io – spiega all’interlocutore – basta che faccio un messaggio». La moglie di Francesco Piro è originaria di Rosarno. Circostanza che permette a Piro di esaltare la “nomea” di città considerata cardine e crocevia di alcune delle famiglie di ‘ndrangheta più potenti e influenti della Calabria. «(…) che poi capi’, fesso fino ad un certo punto, che poi ad uno quando girano i coglioni girano i coglioni! Io tengo un compare…».
Un “compare”, un ministro, un giornale da fondare o condizionare, un movimento da creare, un ufficio di procura con “porte aperte”, un progetto fino al Csm. Oltre il Pollino, con “affaccio” privilegiato in Calabria, uno spregiudicato millantatore o un crocevia iconografico a metà strada tra criminalità politica o politica criminale? Chissà…
I.T.