Era diventato persino superfluo, inutile, aprire le schede. Tanto si conosceva già l’esito. Per 24 mesi dalla cavalcata irresistibile di Peppe Scopelliti al comando della Regione (siamo nel 2010) in tutte le consultazioni amministrative sparse in giro non c’era letteralmente partita. Vinceva sempre non tanto il centrodestra, che come “scatola” più o meno vuota ha sempre rappresentato poco oltre se stessa così come il centrosinistra. Ma il “partito della Regione”, l’iconografia del potere. La regnanza, i sovrani nel regno dei dipartimenti con i miliardi di euro dentro. Reggio, Catanzaro, Cosenza e via così. Sempre una passerella e per almeno due anni per il partito della Regione stagione centrodestra con Peppe Scopelliti al comando. Tutti sindaci di osservanza. Altri tempi, verrebbe da dire. Più forte il partito della Regione allora o più debole il sistema del potere, adesso, non è mica semplice come incrocio a semaforo lampeggiante. Fatto sta che a nemmeno 7 mesi dall’ingresso di Roberto Occhiuto al decimo piano della Cittadella, in nome e per conto del centrodestra persino unito, il partito della Regione perde il capoluogo praticamente contro una costola di se stesso. O contro le inadeguatezze delle proprie viscere. O la perde, Catanzaro, perché alla fine non era possibile diversamente.
In una regione appena somigliante alla civiltà occidentale Peppe Mangialavori avrebbe già dovuto dare le dimissioni da coordinatore regionale di Forza Italia. E più o meno la stessa cosa, da presidente del consiglio regionale, avrebbe già dovuto fare Mancuso. Sono loro le gigantografie politiche della sconfitta, diciamo i totem per chi ama i simboli riepilogativi.
A Catanzaro la partita più indecifrabile d’Italia, come è noto anche la più viscida, s’è giocata su tre tavoli con indice di importanza asimmetrico rispetto alla percezione popolare. Uno di questi tavoli è stato destinato d’ufficio ai partiti, non foss’altro perché sono loro a mettere in piedi la macchina elettorale. E a questo tavolo (non il più importante e nemmeno il più prestigioso) i perdenti assoluti sono proprio loro. Pasqualino Mancuso e Peppe Mangialavori. Il primo si è addirittura intestato la candidatura di Donato, più o meno ex uomo di sinistra presentato da Brunoi Vespa come nomination della Lega di Salvini. Il secondo, nell’ambito di una operazione più complessa di “colonizzazione” di Catanzaro dalle coste Vibonesi, ha sfidato tutto e tutti pur di imporre (con il placet di Roberto Occhiuto) la sua scelta. Valerio Donato dove essere e Valerio Donato è stato. Prof e avvocato dalle imbattibili qualità ma con un “peccato originale” da scontare visto che gli è stata fatta indossare la maglietta del centrodestra per forza, andare contro Mimmo Tallini. Il quale, da questa “balcanica” parte del campo politico e partitico, è il vincitore assoluto del miracolo del ballottaggio. Non solo ha sostenuto e fatto sostenere Fiorita, ma ci sono uomini suoi e di peso tra i grandi elettori. Vendetta consumata contro la colonizzazione vibonese di stampo Mangialavori-Occhiuto, scriverà Tallini sul proprio diario. Che ha potuto contare almeno su due fragilità. La prima, quella del sindaco uscente e ormai uscito per sempre. Lascia la città con i conti in ordine ma traballante sul piano delle motivazioni del consenso. Al primo turno su Wanda Ferro, poi disperso ma con probabile approdo dalle parti di Donato. La seconda, di inevitabile ma dignitosissima fragilità, quella di Wanda Ferro. Che al primo turno va ben oltre la sua stessa bandiera, Fratelli d’Italia. Prende il doppio dei voti della griffe di Meloni segno che è suo il voto di opinione nel centrodestra. Al ballottaggio poi ha provato a spendersi mediaticamente e a livello personale per Valerio Donato (suo vero candidato sin dall’inizio, non avessero sbagliato l’approccio Mangialavori e Mancuso) ma senza bandiera appresso e con la gran parte dei catanzaresi al mare anche il voto d’affetto e di opinione si sarà andato a fare benedire. Troppo caldo in questi giorni per le idee.
Tra i vincitori di prestigio di questo tavolo politico e partitico senza dubbio Nicola Irto, il segretario regionale del Pd. Erano già tutti pronti a massacrarlo, dopo il primo turno. Irto che tiene il punto e la barra dritta quando la “cordata” sfila Donato al centrosinistra e quando più d’uno dei suoi gli fa la guerra da dentro ritenendo Fiorita il più debole tra i due prof. Ma Irto ha tenuto duro e Fiorita non ha mai smesso di portarsi appresso la bandiera del Pd in nomination e nelle infografiche televisive. Nella intifada generale e nel punto più basso della parabola del potere dei partiti il Pd a Catanzaro fa comunque la sua onestissima figura come griffe e non era né scontato né auspicato da gran parte dello stesso centrosinistra catanzarese.
Il secondo tavolo su cui si è giocata la partita, probabilmente anche il primo in termini di importanza e peso specifico, è quello delle fatture brillanti di Catanzaro. Della meglio impreditoria che acchiappa commesse, innalza palazzi, rende servizi, impasta cemento o distribuisce alimenti. Gli zeri che contano ci sono da queste parti e non è difficile immaginare che il ballottaggio anche e soprattutto su questo tavolo si è giocato. A Catanzaro e non da oggi esistono almeno 2 blocchi, due “partiti” tra le meglio fatture. Due contrapposizioni che poi sono anche alla base del giocattolo che si è rotto in città. Interessi non più mediabili. “Epicentro” del sisma l’ormai storico bando per la nuova sede del Tar Calabria, in un primo momento assegnato per essere costruito su di un terreno di proprietà della Curia. Ricorsi e ombre inquietanti hanno condotto alla paralisi della gara ma anche, chissà, alla crisi stessa della e nella Chiesa catanzarese e non è difficile ipotizzare che la fuga di Bertolone possa avere avuto a che fare con questo incrocio micidiale. Alla fine, per il ballottaggio, ha chiaramente vinto la partita una parte di fatture nobili che non è difficile identificare. Forse non vi era scelta se è andata così.
Infine, ma a nessuno è consentito sminuirne la portata, la partita si è giocata anche sul tavolo del consenso popolare. C’è quello guidato dal datore di lavoro, è chiaro a tutti questo. C’è quello poi che si infila stabilmente e paga bollette e multe. Ma c’è anche quello cosiddetto “borghese”, illuminato, scevro da condizionamenti e imposizioni economiche e sociali. Il tessuto catanzarese non è avaro di borghesia che può cavarsela anche senza la politica, frutto questo di impiego pubblico ormai consolidato e intoccabile. Non è facile quantificarne il peso elettorale ma ce l’ha, eccome se ce l’ha. Qui Fiorita ha vinto la sua personale partita, proprio qui. Al di là delle tessere e dei voti di potere preconfezionato. Forse per una ragione molto ma molto semplice. Persino banale. Non ha cambiato schieramento e non ha fatto nulla per farlo. E tra due prof equamente stimati e sobri, sopra le righe volgari delle contese, questo tavolo “borghese” di Catanzaro ha preferito dare fiducia a chi non ha mostrato di voler fare a meno (sostanzialmente da civico) del suo proprio schieramento di appartenenza. Del suo retaggio culturale. Non perdonando a Donato la militanza a sinistra salvo farsi poi sponsorizzare niente di meno che da Mancuso in quota Lega. Qualcuno dice che poi gli schieramenti non contano niente. Il ballottaggio di Catanzaro dice esattamente il contrario invece. Dice che un cuore non può battere contemporaneamente in due parti del petto…
I.T.