Asp di Cosenza, il Palazzo “mangia soldi” della sanità di Calabria

Vera e propria “bolla finziaria” pronta ad esplodere nelle tesorerie e nelle procure. Il caso delle cartolarizzazioni con crediti fatti lievitare quando del tutto non più esigibili. Centinaia di milioni pignorati

Secondo la Corte dei Conti, che può “parlare” sono con i numeri lasciando magari intendere concetti e deduzioni, l’alta finanza (spesso “criminale”) che abita attorno e dentro l’Asp di Cosenza non ha niente a che vedere con il buco nero dell’Asp di Reggio. Non solo in termini di potenziali palate di milioni spariti chissà dove ma anche perché se quella dello Stretto è stata fin qui “rapina” perpetua a volto scoperto quella ai danni dell’Asp più grande della regione, e più piena di euro, è frutto invece di raffinata ingegneria bancaria e creditizia su scala nazionale, ovviamente con la complicità degli uffici di via Alimena e sennò con chi. Una gigantesca e solo apparentemente disarticolata ragnatela di interessi non leciti col solo scopo di spolpare il più possibile il bilancio più impegnativo che c’è in Calabria, più o meno un miliardo di euro all’anno. Solo così, e non è tutto quello che affiora in superficie, si possono spiegare i 361 milioni di debiti consolidati e il miliardo di debiti verso fornitori. Qualcuno, certamente più d’uno, nella gran parte dei casi tutti insieme e con varie forme e con la complicità non gratuita di chi s’è girato dall’altra parte: nasce e pasce così la più grande “rapina” alle spalle della salute dei calabresi.
“Il Fatto Quotidiano” ha dato conto nell’edizione di domenica di un caso “spia” che vale solo come icona. Siamo nel regno delle cartolarizzazioni che già di per sé puzzano di bruciato da lontano. Aziende private che non vengono pagate nei termini previsti (ma fa parte anche della stretegia) cedono il credito a società spesso esoteriche, dalla sede fiscale e legale a Milano quando non all’estero del tutto. Impossibile intuire chi c’è dietro, sono “maschere” che comprano fatture mollando liquidi inferiori all’importo. La clinica privata incassa subito più o meno l’80%, numero in più numero in meno. Le “maschere” non hanno fretta a recuperare poi il totale dall’Asp e anzi fanno il maledetto tifo perché il tutto si consumi magari dopo un contenzioso che finisce inevitabilmente al Tar con giudizio di ottemperanza. Il grande affare è tutto qui, scontato ovviamente. Perché l’Asp quasi mai la spunta e spesso e volentieri nemmeno si difende. Il Fatto Quotidiano manda in stampa un singolare caso, solo una goccia significativa nel mare. Una di queste società a forma di “maschera” intima un pagamento di 8 milioni per fatture che però l’Asp dice di non trovare più. Anzi, dice di più. «Non risultano registrate in contabilità». Per solito sono queste spie nel cruscotto della macchina che ti portano dal “meccanico”. È solo un caso fortuito questo? La Tocai Spv, questo il nome della “maschera” fiscale con sede chissà dove e con chissà chi dietro, intima il pagamento di 8 milioni a fronte di fatture acquistate che secondo gli uffici dell’Asp non esistono più, o magari non sono mai esistite o sono state già pagate. È venuta allo scoperto solo una “ginestra” nel deserto e chissà invece quante e quante volte si procede così, pagando due o tre volte prestazioni già pagate o del tutto inesistenti? Chissà, chi ha occhi e uffici per intendere, lo starà già facendo immaginiamo. Tocai, tra l’altro, ha in pancia la gran parte dei crediti acquistati dalla Tricarico, che come è noto poi è fallita con deflagrazione dell’inchiesta giudiziaria. Centinaia di milioni di crediti che potrebbero essere finiti persino in “bond sanitari” con rendimenti alti da piazzare tra i cultori della speculazione. Giochi d’alta quota e con utili importanti, coi soldi della salute dei calabresi, che però possono pure svuotarsi come una “bolla” perché ora la grande paura delle società che acquistano fatture di Calabria questa ora è, l’incubo default tra inchieste della magistratura e pignoramenti complessivi superiori alla disponibilità del bilancio di cassa. Perché poi la “mucca da mungere” una è. In una interrogazione consiliare dello scorso anno il consigliere regionale del Pd, Guccione, chiede conto all’aula dei 103 milioni che sono pignorati all’Asp nella tesoreria della Bnl, che diventano poi poco meno di 200 con spese legali per inevitabili contenziosi nei tribunali. Ma non è tutto perché ai pignoramenti reali c’è poi da sommare la cifra vincolata presso il tesoriere, altri pignoramenti in arrivo con cause in essere presso vari tribunali d’Italia, un “blocco” complessivo di 800 milioni nel bilancio dell’Asp più grande e piena di euro che c’è in giro. Una voragine. Una “metastasi” ben costruita nel tempo. La cartolizarizzazione, frutto di ingegneria speculativa spesso e volentieri criminale, è la trovata che funziona di più negli ultimi anni. Tocai Spv è solo una di questa, di queste “maschere”. Ma c’è anche Argo Spv srl, che in pancia ha gran parte delle fatture della “Cascini”. Oppure la PJT 2411 srl, sigle esoteriche che mangiano decine e centinaia di fatture per incassare dopo con calma e con straordinari interessi. Il caso “monstre”, troppo grande per essere “vero” e cioè per non essere maturato con sapienti connivenze e scientifiche operazioni speculative, è quello di Banca isif spa. A fronte di non meno di 5mila fatture acquistate dalle cliniche private porta all’incasso dividendi da capogiro, ovviamente dopo sentenze del Tar e giudizi di ottenperanza, il giochino è lì. In un caso, ma sono solo degli esempi esplicativi, incassa 2.718.975 euro complessivi quando la quota capitale era di poco più di un milione. Della serie, quando attendere il contenzioso (che sarà vincente) frutta quasi il triplo della somma. In un altro si supera, Banca Ifis, che ovviamente non agisce in solitudine. A fronte di poco più di un miione di quota capitale porta a casa 4,3 milioni dopo giudizio di ottemperanza. Un capolavoro. «Un esempio eclatante della “rapina” di denaro pubblico» apostrofa sempre il consigliere regionale Guccione in una nota del settembre dello scorso anno. Da allora chissà quante di queste a “volto coperto” sono state portate all’incasso…

I.T.