Alla fine ha preferito non ribadirlo passeggiando sul lungomare di Reggio ma usando il “megafono” della metafora felice e rapida del ponte di Genova, edificato e reso disponibile quando in altre occasioni più o meno simili nel resto del Paese, con lo stesso tempo, si sono raccolte solo macerie. Modello Genova in tutto il Paese e solo chi non ha orecchie per intendere ha fatto confusione laddove invece per “Genova”, ovviamente, è da intendere anche chi ci fa da burocrate dentro come Antonino Minicuci, direttore generale del Comune. E proprio Minicuci, di Melito Porto Salvo, è il nome forte che Salvini vuole fermamente candidare a sindaco di Reggio per le urne di settembre. È il nome che ha sempre inseguito, del resto, non indietreggiando fino all’ultimo. Con un teorema ben stretto in tasca, a forma di equazione. Il candidato tocca alla Lega e la Lega ha scelto, intendendo per “Lega” direttamente il parere del “capo”. E di metafora in metafora l’approdo verso i simboli diventa più facile perché Minicuci a Reggio significa soprattutto la forza del nome cristallino e “terzo” rispetto alle dinamiche politiche tipiche dello Stretto. Una specie di “notaio”, di professionista della pubblica amministrazione dal momento che occorrono 20 pagine di cirriculum per contenere le esperienze del “nostro”, con passaggi anche nelle prefetture e in diversi altri municipi. Un nome forte, in colletto bianco ma di estrema rottura e distacco rispetto al “pantano” delle paludi conterranee. E qui si infila poi il vero scopo di Salvini, o della Lega 2.0 in Calabria. Dopo le sberle prese tra urne e procure antimafia si riparte non rinunciando a vincere, ma provando a vincere senza rischiare campanelli che suonano la mattina presto. Letta così, la sfida di Minicuci e soprattutto di Salvini, è l’unica formula posibile per comprendere invece tutta l’ostilità che questo nome deve vincere e convincere e che si nutre, al contrario, solo di logiche tutte interne al centrodestra locale. Superate in qualche modo le bocche storte dall’interno della stessa Lega, con Tilde Minasi che poi alla fine ha ripiegato sulla ragion di Stato rinunciando a inseguire il paravento di un altro candidato (impossibile) e cioè Lombardo (figlio dell’ex procuratore di Catanzaro), a Salvini resta solo il braccio di ferro con Forza Italia e soprattutto con Ciccio Cannizzaro. Poi solo strada spianata e centrodestra più o meno unito perché Fratelli d’Italia è stata riportata all’ordine direttamente da Roma. Ma l’ostilità e l’ostinazione di Cannizzaro non sono passate all’incasso anzi, al contrario, vivono le ore politicamente più drammatiche. Cannizzaro pretende che l’intero partito azzurro si metta di traverso ma diversi big cominciano a girarsi dall’altra parte preferendo non intestarsi una rottura con Salvini in nome e per conto solo del deputato di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Conosce infatti minimi storici la possibilità che Forza Italia corra da sola lasciando che a vincere sia il centrosinistra, la rottura con la Lega avrebbe poi risonanza nazionale. Mentre è ancora possibile un colpo di testa quasi paradossale proprio di Cannizzaro. Una sua diretta candidatura a sindaco, o di un suo uomo di riferimento, dando per scontata l’uscita da Forza Italia magari planando su Renzi, dove tra l’altro incontrerebbe le aspirazioni niente di meno che di Giuseppe Falcomatà. Tutto, insomma, pur di provare a far perdere Minicuci.
Si vedrà, anche se non sono pochi quelli che sono convinti che alla fine Cannizzaro, contando fino a dieci, rientrerà tra i banchi. Discorso a parte per la Marcianò, già in campo con autodichiarazione di presenza civica con (per ora) il sostegno di alcune sigle residuali di destracentro. Il vero progetto forse di Marcianò era un altro, più ambizioso. E cioè nel pieno della guerra fredda dentro il centrodestra piazzare la sua nomination (che non dispiace sostanzialmente a nessuno, a parte proprio Salvini) così da poter rappresentare un “rifugio” in caso di spaccatura frontale. Una via d’uscita per tutti. Diventare progressivamente di fatto necessaria e inevitabile, come candidatura unitaria del centrodestra litigioso al suo interno. Anche perché la nomination “cammina”, come si dice in gergo. Tira e piace la freschezza del profilo. E forse anche per questo Salvini, che è quarantenne come generation ma ne ha conosciuti di marpioni in giro, s’è allertato dal “ponte” di Genova. Meglio ribadire ancora una volta che è Minicuci il candidato. Meglio ribadirlo ora che ritrovarsi dopo una Marcianò galoppante…
I.T.