Credo che nella vita ciascuno di noi abbia bisogno di punti riferimento, collettivi e personali, con i collegamenti personali che poi diventano collettivi.
Napoli, e “Mimì alla Ferrovia”, rappresentano esattamente questo. Due simboli insieme, uno dentro l’altro. Impossibile farne a meno, non è “solo” una iconografica trattoria è piuttosto un “anfiteatro” di cultura e tradizione.
Ricordo quando è venuto a mancare Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, per il quale è stato proclamato il lutto nazionale.
Sono stato da Mimì giusto tre giorni dopo, il giorno di San Gennaro, anche per festeggiare il lieto evento dello scioglimento del sangue, annunciato dal Cardinale Sepe alle 10.38.
E alle pareti ho rivisto le foto di Ciampi in visita in questo locale storico. Insieme e vicine, c’erano, tra le altre, anche quelle di Gianni Agnelli, Federico Fellini e Giulio Andreotti, testimoni di un mondo che non c’è più.
Ciampi era l’idea di un’Europa sinonimo di futuro, Gianni Agnelli di un Paese che rappresentava una delle potenze industriali del pianeta, Federico Fellini della cultura italiana alla conquista del mondo, Giulio Andreotti di una politica che, con i suoi torti e i suoi meriti, aumentava il benessere per tutti.
Ognuno di loro, si recava da Mimì non tanto per mangiare ma per assaporare una cultura, che sapeva di antichi sapori e di antichi mestieri: quella di una Napoli sparita ma che quà sopravviveva, e ancora magicamente sopravvive, a due passi di Piazza Garibaldi e Porta Capuana, in una via piccola e stretta ma che prende il nome di uno dei grandi sovrani della grande storia del Regno del Sud: Alfonso d’Aragona.
E sopravvive grazie alla tradizione antica di Mimì Giugliano, di suo cugino Michele e di suo figlio Salvatore, ancora giovane ma già pronto a raccogliere lo scettro del padre, che a sua volta l’aveva ricevuto dal nonno.
Ecco, mentre le epoche si dissolvono e si trasformano, l’idea di Europa, la guerra fredda, l’industria automobilistica, le espressioni cinematografiche, Mimì rappresenta un’àncora di riferimento, con il pretesto della tradizione gastronomica di Napoli e del Sud, che è prima di tutto straordinaria cultura.
Assaggiando i piatti di MImì sembra di ascoltare ancora le voci di pescatori, fruttivendoli, vinai, fornai del dominio normanno, del vice regno spagnolo, del regno borbonico.
Sensazioni che danno la dimensione di qualcosa che si è fermata di fronte allo scorrere impetuoso di un tempo mai così furioso e che si è fermata per non farsi corrompere e rimanere uguale a sé stessa.
Questa mi sembra, a suo modo, la storia di questo straordinario uomo del Sud e della sua genìa passata, presente e futura.
Dunque, lunga vita a Mimì, oste sapiente, padrone di casa impagabile, genio dell’ospitalità meridionale, simbolo di quella Napoli che non muore ma che continuamente risorge. Suscitando inesausto stupore.
Mario Caligiuri