Prima che sia processo “vero”: il bullismo si previene anche così

Simulazione di un vero e proprio dibattimento nel Tribunale di Cosenza nell'ambito del progetto “Ciak, un processo simulato per evitare un processo”. Coinvolte due classi di scuola media dell'istituto comprensivo Rende-Quattromiglia “G. Falcone” coordinate dalla docente Silvia Gagliardi

Una pesante condanna con pena sospesa, le attenuanti generiche ci stanno tutte. Due condanne estinte dopo un anno di servizio sociale in prova andato decisamente a buon fine. E poi genesi di false testimonianze per “amore” che si denudano in aula e rientrano nel “vero”, confessando in presa diretta. Bulli, bullizzati, testimoni di procura e di difesa, requisitorie e arringhe. Non manca nulla in una delle aule del Tribunale di Cosenza perché sia processo vero. In “scena”, e quindi in aula, alunni di 2 classi di scuola media dell’istituto comprensivo “Rende-Quattromiglia G. Falcone” coordinati dalla docente Silvia Gagliardi. Attori perfetti a metà tra talento puro e abnegazione coinvolti nell’ambito del progetto “Ciak, un processo simulato prima che sia processo” che ha visto la partecipazione anche delle avvocatesse formatrici Annarita De Franco e Anna Filice del foro di Cosenza. Un progetto ideato dal presidente Luciano Trovato e gestito dall’associazione senza scopo di lucro “Ciack Formazione e legalità” in Calabria e in altre Regioni d’Italia con il prezioso contributo della Fondazione Carical e dell’Associazione nazionale magistrati.

Il copione è talmente verosimile da essere solo “la maschera” (questo il titolo) del vero, del reale. Storie di ragazzini presi di mira in modo seriale fino al perimetro del bullismo, un grave reato stratificato dei nostri tempi. E storia di 3 bulletti super viziati e rinchiusi nel convincimento sociale e talvolta familiare della comoda supremazia sui propri simili (che poi sono compagni di scuola). In mezzo amicizie e primi inconfessati amori che spuntano in aula. E in mezzo soprattutto la forza e la solida radice di chi, con voce rotta, racconta quello che subisce e ha subito per tanto tempo. Con fierezza e senza paura, solo tanta sofferenza. Che sia di origini musulmane (il retaggio di uno dei due bullizzati) oppure solo con una galoppante disabilità fisica (l’altro ragazzino messo in mezzo) non cambia né il folle movente né le conseguenze. Il processo è duro e vero e la tecnica processuale è studiata nei minimi particolari fino alle inevitabili condanne. C’è spazio anche per il ravvedimento, a tratti e certamente sui titoli di coda, per qualcuno dei ragazzini con la strada sbagliata sotto i piedi. E c’è soprattutto spazio per il messaggio latente, di fondo, che non lascia mai la “scena” dal primo all’ultimo minuto del dibattimento. E che recita più o meno così. Ci vuole un attimo perché dallo scherzo la vita trasformi in un guaio serio il volto da offrire a ragazzini con false convinzioni. Un attimo solo. Il passo sbagliato, il limite da non superare mai, la cattiveria da dimenticare perché deridere e umiliare chi è apparentemente più debole diventa un grave reato in un batter di ciglia. In un attimo non ride più nessuno e si finisce in aula di Tribunale. Quella vera e non simulata.

F.M.