Quando il viceprefetto (poi trasferito…) promuoveva Lucano e il modello Riace

Porta la firma in testa di Francesco Campolo la relazione con il “cuore” che nel 2017 chiede lo sblocco dei fondi per «la prosecuzione di una esperienza che rappresenta un modello di accoglienza studiato in molte parti del mondo». Pochi giorni dopo la “promozione” altrove del numero 2 del Palazzo di governo...

di Domenico Martelli

A maggio del 2018 Mimmo Lucano prende carta e penna e scrive una lettera disperata al prefetto di Reggio. Non è difficile intuire cosa chiede: sbloccate immediatamente i fondi che attendiamo dal 2016, il sistema è al collasso.
«Siamo in presenza di una emergenza umanitaria – scrive -. Una situazione che non appare più sostenibile considerata la perdurante assenza di risorse. A codesta spett.le prefettura si chiede di voler corrispondere le somme relative ai servizi già erogati per il biennio 2016/2017 per un numero di circa 150 beneficiari. In maniera inspiegabile – continua ancora Lucano – il trasferimento di tali risorse dalla prefettura al Comune di Riace è fermo a giugno 2016 (ministro dell’Interno è Alfano) esigenza questa già segnalata nella relazione prefettizia redatta a seguito dell’attività ispettiva svoltasi in data 20 gennaio del 2017 (ministro dell’Interno è Marco Minniti). Tale condizione ha determinato una forte criticità economica per i soggetti gestori, ove si consideri che i servizi dello Sprar tutt’ora in corso a favore di n° 165 beneficiari, non trovano anch’essi copertura economica dal mese di luglio 2017. Si chiede per l’ennesima volta il trasferimento immediato dei fondi non ancora a tutt’oggi erogati – chiede disperatamente Lucano al prefetto di Reggio – poichè nel giro di pochi giorni gli enti gestori non saranno più in grado di garantire la fornitura dei beni essenziali (latte per i bambini, medicinali, ecc.). Si fa appello alla sensibilità umana che il caso richiede, anche per scongiurare il verificarsi di episodi di pericolo per l’ordine pubblico».
Il sistema Riace non regge più, siamo a due passi dal baratro e il rischio concreto è quello che la rete di assistenza sociale non sia più in grado di fornire latte e medicine ai bambini. Con tutto quello che anche in termini di ordine pubblico può significare. Siamo al 29 maggio del 2018 e Lucano tenta la carta del “cuore” con la prefettura di Reggio che però solo in parte è soggetto autonomo gestore (il suo riferimento è sempre il Viminale, con Salvini che ne entra in possesso però solo due giorni dopo, il primo giugno).
Lucano nella lettera al prefetto e nel chiedere disperatamente lo sblocco dei fondi per servizi già erogati fa esplicito riferimento a una relazione prefettizia, a seguito di ispezione, che più o meno trae le stesse conclusioni: bisogna erogare almeno un acconto, subito.
La relazione (che pubblichiamo integralmente) viene redatta, «a seguito di attività ispettiva svolta in Riace il 26 gennaio del 2017 e fa seguito anche ad alcune manifestazioni di protesta che sono state poste in essere sia da parte dei migranti ospitati sia da parte di alcuni rappresentanti delle cooperative. Questi ultimi, in particolare, in occasione di una visita in prefettura compiuta il 25 gennaio del 2017, hanno lamentato la mancata corresponsione da parte di questo Ufficio di alcuna forma di sostentamento economico a far data, in alcuni casi, dal mese di gennaio 2016».

Questa relazione, che viene redatta per stessa scelta degli estensori «non seguendo criteri e formule di stretta osservanza burocratica-amministrativa» si autoalimenta di un obiettivo, conoscere e descrivere quanto più fedelmente possibile il “sistema Riace” attraverso il volto umano di chi osserva. Un miniviaggio con il cuore in mano e la testa ben salda sul collo. E soprattutto fuori dal gelo delle formule contabilli che hanno invece ispirato l’altra relazione prefettizia, quella del 2016, costata di fatto il blocco dei fondi. La prima firma di questa relazione è d’autore, è vergata dall’allora viceprefetto di Reggio Francesco Campolo (a seguire Pasquale Crupi, Alessandro Barbaro e Maria Carmela Marazzita). È un viaggio prefettizio alla volta del “sistema Riace”, a partire proprio dalla descrizione del borgo, «dove c’è gente accogliente che subisce soprusi storici e ignominiose vergogne ‘ndranghetiste. A pochi chilometri da Riace regnano fra le famiglie mafiose più potenti e pericolose, oggi attive in Italia e nel resto del mondo. Riace è inevitabilmente figlia della Locride insanguinata… ». E poi «borgo incantevole e arroccato, strade strette, umide, le macchine non ci passano», quasi un poker di viaggatori illustri a caccia di sensazioni forti. E dopo la riunione con sindaco e rappresentanti di associazioni gli ispettori ispirati da ambizioni “umane” passano alla dettagliata relazione. A cominciare dalla scuola, multicolor, anzi più multicolor che indigena. «Una scuola senza bambini è la conclusione ingoloriosa di un mondo, un universo senza futuro». Le case, «piccole e arroccate». È ora di pranzo, si naviga nelle cucine, «dove scopriamo pentole con vari preparati, il riso, il pollo, le zuppe. Gli ospiti comprano gli alimenti con i loro bonus, utilizzabili a Riace. Pur nella povertà dei mezzi si scorge sempre una dignità. Riace è anche questo…».
Le botteghe, «telai, filati, il volto dell’Africa, del Kurdistan, i profumi diversi. Certo – confessano gli ispettori – avremmo potuto chiedere al sindaco maggiori dettagli sul rispetto delle regole urbanistiche nella realizzazione del progetto e se le casette fossero state realizzate da ditte iscritte alla white list o individuate con manifestazione d’interesse aperta almeno a 5 concorrenti ma eravamo lì per l’ispezione ai Cas e non potevamo venire meno all’incarico che ci era stato affidato».
In conclusione del lungo giro ecco le «ragioni che hanno spinto (gli ispettori) ad abbandonare il tono strettamente burocratico: trasmettere uno spaccato della vita quotidiana in Riace, raccontare la storia dell’immigrazione del borgo divenuto famoso prima per i bronzi e poi per l’impegno del sindaco Lucano. Il quale, Lucano, «è uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della sua vita». E pertanto, in ragione di questa e di altre considerazioni finali, «si ritiene che debba essere corrisposto immediatamente un acconto sul complessivo. Ciò consentirà la prosecuzione di una esperienza che rappresenta un modello di accoglienza studiato in molte parti del mondo».
Firmato (in primis) viceprefetto Campolo. Che non molto tempo dopo e indubbiamente per “meriti e onori”, viene trasferito ad altro incarico. Fatto fuori, per farla breve. Niente più migranti per lui, borghi o cucine con zuppe multicolor ma raccordo con gli enti locali e preliminari elettorali. Così impara la prossima volta a ispezionare (anche) con il “cuore”…