Dilaniato dal freddo, posseduto dalla paura, con febbre alta e senza qualcosa di caldo da sorgeggiare né, tantomeno, un antipiretico così da abbassare la temperatura. Ha trascorso così più di 7 ore un paziente Covid (accertato con tanto di tampone e Tac) nello sgabuzzino del pronto soccorso dell’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Rintanato lì dentro, dove spesso si usa anche il bagno. A volto scoperto così come a volto totalmente scoperto è stata la sua malattia per quasi un giorno intero. Solo verso sera, le 19 e 30, è stato poi trasferito nel reparto di Malattie infettive, dove ad attenderlo c’era quantomeno un letto e una coperta calda. Storie di un martedì nero per l’ospedale di Cosenza, un martedì che in pochi si augurano possa ripetersi ma che in ancor meno sono convinti di non rivedere più. Alla diregenza sanitaria del nosocomio, del presidio così come al vertice del pronto soccorso le ardue e improbabili risposte (Panizzoli a parte, sulla cui scrivania non arriva tutto): perché quel paziente Covid (per la cronaca, di Rogliano) per così tante ore rintanato in uno sgabuzzino? Al freddo, in preda alla paura ma anche alla rabbia oltreché alla febbre? Ma soprattutto, secondo quanto ci arriva da fonti dirette, praticamente libero di “contaminare” se solo lo avesse voluto (e, per fortuna, non lo ha voluto). Perché c’è anche tanta insicurezza nel martedì nero dell’Annunziata. Anche perché le famigerate mascherine FFp3 (quelle che proteggono per davvero e non per finta) non vengono distribuite a tutto il personale medico e paramedico all’interno dell’Annunziata. Merce rara, restano. Tutto fa iconografia tragica nel martedì nero dell’Annunziata. Che, manco a dirlo, conta tre morti in un solo giorno (per Covid). Che possa essere l’ultimo di un martedì nero del genere? Difficile immaginare che non s ene vedranno altri di giorni così neri. Questo martedì è toccato a Rogliano, con un suo compaesano rintanato in uno sgabuzzino. Già, Rogliano. Picolo o grande focolaio inibito al traffico di esseri umani. Isolato, Rogliano. Con duplice sofferenza per gli amministratori, malati e responsabili dei malati. E torna alla mente quel presidio Covid a Rogliano che c’è ma che non si vede. C’è ma, di fatto, non c’è. I sei malati di coronavirus sono tutti ricoverati all’Annunziata, compreso quello che s’è fatto un giorno di malattia nello sgabuzzino del pronto soccorso. Forse avrebbero preferito soffrire nel presidio del loro paese e tutto sommato anche l’Annunziata l’avrebbe preferito, liberava posti che servono di ora in ora. Ma c’è un perché se il presidio Covid di Rogliano c’è ma non c’è, è previsto ma non serve: non è dotato di unità di terapia intensiva. Che è come dire al Covid di bussare alla porta e poi andare via…
R.M.