Appalti, la “verità” della Consulta: «Nulla osta al proseguio delle gare in atto»

La Corte Costituzionale giudica inammissibile il ricorso della Regione contro il “Decreto Calabria” ma nello stesso tempo libera il campo da alibi e giochi di rimbalzo tra Sua e Asp (a beneficio degli affidamenti milionari in prorogatio). I bandi in essere possono (e/o debbono) essere conclusi. In gioco un miliardo di euro

C’è la sentenza, complessiva e perentoria (il ricorso della Regione contro il “Decreto Calabria” non è ammissibile). Ma poi ci sono anche “angoli” che pesano e valgono più dell’oro, dentro le spigolature della sentenza stessa. Che se non è “Bibbia”, giusto per non sconfinare nel blasfemo inopportuno, poco ci manca visto che stiamo parlando della Corte Costituzionale. Consulta che se da un lato ha chiarito che la decretazione governativa è dentro i perimetri costituzionali perché “entra” per garantire percorsi su servizi essenziali per i calabresi, come quello della sanità, della salute. Ma dall’altro, la Corte, si chiama fuori e soprattutto chiama fuori il Decreto Calabria da alcuni fraintendimenti. Ambiguità interpretative che da maggio più d’uno ha trovato utile, dentro le stanze tutte calabresi del potere, tradurle a senso unico. Nodo cruciale del ricorso della Regione era rappresentato dalla contestazione mossa a proposito del ricorso necessario ad altre stazioni appaltanti regionali, o alla Consip, per bandire nuove gare nel pianeta sanità. Un universo complesso e pieno di euro dove si annidano incrostazioni e affari da capogiro. Come è noto nel “Decreto Calabria” è fatto divieto alla Stazione unica appaltante calabrese di appaltare nuove gare sopra soglia. Il perché è presto sintetizzato, che poi il ricorso questo era: meglio affidarsi a perimetri diversi da quello regionale, per svariate ragioni. Il governo si fida poco o niente delle committenze di Calabria e chiede d’ufficio a Consip o ad altre stazioni regionali di appaltare le gare conterranee. La Consulta conferma che questa operazione è “costituzionalmente” possibile ma aggiunge un chiarimento che è tutto un programma. «Il ricorso obbligatorio alla Consip spa – scrivono i giudici della Suprema Corte – o alle centrali di committenza di altre Regioni per ogni acquisto o negoziazione sopra soglia comunitaria, in quanto lex specialis, va correttamente inteso come riferito ai soli nuovi contratti e non è quindi, di ostacolo – come si paventa – al proseguio delle gare in atto». Da rileggere con evidenziatore il passaggio. Anche irrituale per certi aspetti. Al contrario di quanto si paventa, scrivono i giudici, il ricorso obbligatorio ad altre stazioni vale solo per i nuovi contratti mentre «nulla osta il proseguio delle gare in atto». E hai detto niente. Forse, in termini di euro e di affari, vale più questo passaggio dell’intero ricorso, poi complessivamente giudicato inammissibile. Perché dietro “l’industriale” equivoco interpretativo se concludere o meno gare in essere o quantomeno pubblicate il gioco al rimbalzo tra Sua e Asp ha prodotto una funzionale paralisi da maggio in poi. Tutto fermo. Naturalmente a buon gioco, soprattutto, degli affidatari in prorogatio di alcuni appalti, evidentemente abbondantemente scaduti. E così alcune aziende hanno potuto continuare ad emettere fatture milionarie a colori stampate con stampanti di ultima generazione. Senza soluzione di continuità. Piaga questa, la continuità in prorogatio, che registra vere e proprie assurdità normative se teniamo conto di alcune gare scadute da 12 anni o di servizi che se appaltati costerebbero la metà al servizio sanitario (perché nel frattempo i costi sono cambiati). Servizi e forniture dentro Asp o ospedali che “in continuità” si lasciano nelle mani di chi da anni detiene le “stampanti” a colori da cui escono brillanti fatture mensili. La Consulta soffia sulle nebbie una volta per tutte. Si possono concludere tutte le gare in essere. Sono 9 gli appalti che vivono tra “coloro che son sospesi”. Insieme fanno un miliardo. Uno di questi appalti, la cui dicitura tecnica riporta “definiti atti di gara”, vive appunto in regime di prorogatio (la ristorazione per aziende sanitarie e ospedaliere). Le altre 8 sono quasi tutte sotto la stessa dicitura, “definiti atti di gara”. Per una, raccolta e smaltimento rifiuti speciali pericolosi, siamo addirittura alla “valutazione tecnica delle offerte”. Quindi ben dentro il termine “gare in atto” usato dalla Consulta per indicare che si può proseguire. Ben 9 appalti (un miliardo di euro in totale) che, secondo la Consulta, nulla hanno a che fare con l’irruzione del “Decreto Calabria”. Appalti scaduti, ma fermi. Nella palude interpretativa. “Industriale” palude interpretativa. Perché nel frattempo ogni mese c’è qualcuno che invia quelle belle fatturine a colori stampate con stampanti di ultima generazione…
I.T.