Oliverio, l’ultimo degli “oliveriani”

C'era una volta la maggioranza in consiglio regionale. Palazzo Campanella ormai come una gita saltuaria fuori porta. Per la settima volta il cosiddetto centrosinistra fa saltare la seduta per mancanza di numero legale

 Solo 14 consiglieri presenti. Un numero buono per un’allegra scampagnata con fiaschi di vino al seguito. Tutto sommato buono anche per una partita a calcetto da 7 contro 7 e porte più lontane. Ma non certo per una seduta del consiglio regionale, che una volta si faceva persino chiamare Palazzo Campanella.

E al tirar delle somme, inevitabilmente, seduta rinviata per la settima volta nelle ultime otto, se si fa eccezione per una che è cominciata e che poi il ring della boxe ha preferito si giocasse altrove tra Giudiceandrea, Romeo e Bevacqua (e dire che si parlava di migranti). Non ci si trova più a Palazzo per “celebrare” un consiglio che sia uno. Una minoranza fa trasferta, ricevuta di autogrill e ristorante, e poi ritorno a casa.

Tutto come previsto ormai. Il percorso di lenta eutanasia dell’edificio intitolato a Campanella raggiunge così il suo compimento. Prima svilito e ridicolizzato dalla giunta regionale e dal suo governante, poi reso merce di scambio e di rimborsi dai “commensali” di turno, oggi il consiglio regionale pare un centro di primo smistamento migranti. Non è dato sapere in quanti “sbarcano”, per fare cosa, con chi e perché. Non ci fossero ancora gettoni da distribuire, capi struttura dei consiglieri da contrattualizzare e nuovi di zecca, consulenze, nomine nelle partecipate e leggi o leggine da affossare o da spingere in gran silenzio si potrebbe tranquillamente sentenziare che questa legislatura (forse mai iniziata per davvero) trova il suo triste epilogo ben prima della scadenza naturale.

Lo sa e bene anche Oliverio che non rischia il capitombolo anticipato solo perché gioca bene le sue carte e mescola bene il suo mazzo tra appetiti “civici”, ambizioni trasversali, grillismi d’annata a proposito del nuovo commissario della sanità che deve (forse) arrivare, selezione teleguidata per la corsa al nuovo direttore generale del dipartimento.

Li tiene un po’ tutti appesi compresi, naturalmente, quelli che in qualche modo sperano di ricandidarsi e che con i partiti in liquidazione coatta non possono sperare di meglio che nascondersi sotto il cappello del governatore che ambisce a succedere a se stesso.

Oliverio, ultimo sostanzialmente degli “oliveriani”, è arrivato persino a rispolverare il Pd dopo averne celebrato il de profindis da Locri a Cetraro passando per Gerace e Castrolibero. In nome del civismo rampante e trasversale coniato da Sebi Romeo (a proposito, pare ci abbia ripensato pure lui) la cavalcata calabra e conterranea è arrivata anche a prefigurare la residualità dei partiti ma due giorni dopo la più bruciante delle legnate ecco Oliverio riscoprire, manco a dirlo, proprio il Pd.

«Il Pd c’era nel 2014 e c’è anche oggi – ha detto il governatore -. Magari è più indebolito, ma è presente. Quando era più forte ha avuto modo di mettere in campo una iniziativa elettorale molto larga (elezioni regionali del 2014). Oggi a maggior ragione del fatto che appare più debole, questa linea occorre rafforzarla e andare avanti. Sono convinto che un soggetto politico della sinistra è insopprimibile. Viviamo un momento molto convulso e confuso. Quindi non possiamo arrivare a conclusioni affrettate. Ieri è arrivata l’indicazione per svolgere il congresso regionale del Pd in autunno – ha detto ancora – il Pd deve fare il suo corso per impegnarsi a reinsadiarsi nella società. Dobbiamo però tenere presente che il Pd è uno dei soggetti che devono essere coinvolti in un progetto di governo. Parlo di un arco di forze più ampio, all’interno del quale i Dem devono avere un ruolo importante ma non esclusivo».

Ed è andata bene, al Pd. Oggi Oliverio scopre che il partito deve avere un ruolo, sia pure non esclusivo.

Un passo in avanti rispetto al partito che era da superare se non accantonare del tutto, giusto per riprendere i temi cari al civismo che in giro gli stavano organizzando Romeo e compagni.

Un punto di partenza, se non altro. Chi ha collaborato alla sala rianimazione del Pd oggi si mette a disposizione per renderlo in qualche modo utile.

Chissà i salti di gioia di Martina. Nel frattempo in consiglio regionale, tra uno “sbarco” e un altro di consiglieri “migranti”, si balla la samba con il numero legale “portatile”.

Con Gentile e i gentiliani che guardano alla finestra (in attesa di altre partite), con Guccione che se non va a sedersi dalla parte destra dell’aula è solo perché si alza sua mamma dalla tomba.

Con Pasqua all’opposizione, Sergio quasi, Bevacqua turista disincantato per caso, le ultime assenze di Scalzo e Neri sono risultate esiziali. E la prossima volta chissà, toccherà a Ciconte e a giro si presenterà qualcun altro invece.

Il gioco dello schiaffo del soldato, con il banco della maggioranza al centro e girato di spalle a prendere sberle e a indovinare chi è stato.

Esistesse almeno una opposizione da un bel po’ che ne avrebbe approfittato per far passare leggi, imboscarne altre, affossarne altre ancora. Ma non c’è manco chi combatte per andare tutti a casa, dentro il Palazzo che s’è fatto pure intitolare a Campanella.

Con Oliverio e il suo mazzo di carte (pieno di nomine e prebende) a tenere alla corda il numero giusto, e cangiante, per non tornare tutti a casa. Di questo passo Oliverio resterà l’ultimo degli “oliveriani”. Anzi, a pensarci bene, il penultimo.

L’altro è l’ex segretario ed ex di tutto Ernesto Magorno. Il senatore, se ce n’è uno. Lui sì che gli sta a fianco fino in fondo, ma proprio in fondo. E chi più di lui, del resto, si intende di epiloghi tragicomici. Nel giorno del “funerale” del Pd parla di agricoltura. Una tecnica subliminale per invitare tutti ad andar per li campi?

I.T.