Tra mafie si collabora e specialmente tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Non mancano riferimenti giudiziari e di indagini in numerose inchieste siciliane a calabresi che confermano i legami stretti tra la organizzazioni criminali siciliane e calabresi.
La vicenda processuale di Nicola Santangelo, 42 anni, ritenuto dagli inquirenti membro del clan mafioso catanese che porta il suo stesso cognome, è solo l’ennesimo riscontro.
L’uomo era stato arrestato lo scorso anno dalla Dda di Catania e pochi mesi fa anche il Tdl aveva confermato la custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Ora anche la suprema Corte di Cassazione ha confermato le medesime disposizioni del gip e del Riesame e l’uomo dovrà attendere in carcere il prosieguo dell’iter processuale. Santangelo ha provato a difendersi dalle accuse nel ricorso inoltrato alla Cassazione dicendo che dal 2013 si era trasferito in Calabria, in provincia di Cosenza, per lavoro e che quindi si era allontanato dal contesto criminale familiare e catanese.
Peccato che gli stessi ermellini confermando la misura cautelare abbiano scritto in sentenza che non solo l’indagato non ha spiegato bene le circostanze lavorative ma nel 205 era finito anche in alcune intercettazioni di boss locali di ‘ndrangheta indagati per altre vicende.
Scrivono infatti i giudici di Piazza Cavour:
“Che, infatti, sussistano i gravi indizi di reità del Santangelo solo fino al 2012/2013 è una mera deduzione dalla difesa, fondata sulla rivalutazione critica del compendio probatorio ma che aveva trovato la sua smentita, allo stato degli atti, nella stessa ordinanza genetica, e nel provvedimento di riesame di questa, ove si era osservato come sussistessero elementi di fatto che consentivano di affermare come Santangelo non avesse interrotto i contatti con il contesto associativo a partire dal suo trasferimento in altre province italiane, posto che egli si recava di sovente nel territorio d’origine (peraltro piuttosto prossimo quando aveva stabilito il suo domicilio nella limitrofa Calabria), ed era stato citato, anche nel 2015, nelle conversazioni intercorse fra appartenenti al clan. Il primo motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile”.
A giugno 2018 durante il processo ‘ndrangheta stragista depone Salvatore Annacondia, criminale di spicco nell’area di Bari e vicino a Cosa Nostra affermando che: “La ‘Ndrangheta calabrese è la mamma di tutti, abbracciava tutti i gruppi in Italia: Camorra, Cosa nostra e pugliesi. Non c’era gruppo che non avesse contatti con la Calabria”.
Ammesso che ce ne fosse bisogno ricordarlo e sottolinearlo, circostanza utile solo a chi non vuol sentire o far finta di nulla.