Consiglio regionale da “Indietro tutta”. Notte di insulti e Oliverio fa l’indiano

Il governatore pensa bene di disertare una seduta surreale di Palazzo Campanella, eludendo la risposte alle interrogazioni (sanità su tutto). Sul migrante ucciso è lite violenta tra Giudiceandrea e Bevacqua (che poi si scaglia anche contro Romeo). E nella chat del Pd c’è chi sta «valutando se convegna far parte ancora di un gruppo dove non esiste per nulla solidarietà e comprensione reciproca»

Renzo Arbore negli anni Ottanta ci avrebbe tirato fuori uno di quei “bordelli” colorati e chiassosi da “Indietro tutta”.

Con tanto di “vengo dopo il tg”. Quando l’assessore (?) Robbe risponde alla interrogazione di Bevacqua sugli alpini con il foglio che aveva in scaletta sulla discarica di Celico (leggendolo per un quarto d’ora) s’è toccato il punto più alto (e più basso) della decadenza di Palazzo. Per offrire la cifra d’attenzione in sala è appena il caso di ricordare che nessuno l’ha fermata mentre continuava a rispondere con i fischi ai fiaschi. E con le mele alle pere. Quando lei stessa s’è poi accorta che era fuori tema (un quarto d’ora dopo…) era ormai troppo tardi. La decadenza era servita. La seduta da fine impero appena iniziata.

Con 50 vigili urbani in aula sugli “spalti” a tifare per l’approvazione della legge sulla polizia locale e un pugno di interrogazioni a cui rispondere è andato in scena ieri il più surreale, e deprimente, dei consigli regionali di questa legislatura.

Che di concreto, ovviamente, non ha portato niente a casa a parte l’incredibile e persino violenta lite in maggioranza (?) sulle tecniche d’approccio alla questione del migrante ucciso a San Calogero. Oliverio è assente, hai visto mai.

Non c’ha pensato nemmeno a farsi vedere in aula né ha comunicato al presidente Irto come procedere con le interrogazioni che lo riguardavano direttamente a cominciare da quella sulla sanità (le “catene”, il commissario, il duello istituzionale con Scura). Niente di niente. Solo tre rappresentanti del governo regionale e l’immagine iconografica di Musmanno che ammette di voler e poter rispondere solo alle interrogazioni di sua competenza, di sua pertinenza.

Come dire, ognun per sé e Dio per tutti. Il “fine impero” inizia poi a materializzarsi quando Mirabello (ordine del giorno presentato con Giudiceandrea, Romeo e Nucera) apre le danze e propone che si discuta della tragedia del migrante ucciso (con il killer che lo aspettava e che lascia intendere ben altri scenari che non fossero legati alla tensione del dopo Salvini…).

A quel punto inizia una dialettica negativa in aula con vecchi schemi e vecchie grammatiche persino antecedenti “all’Indietro tutta” di Renzo Arbore. Tallini non resiste e non si fa mancare Mussolini, appare pure lui come ideogramma in sala «per aver civilizzato le popolazioni africane».

Orsomarso gira meno con le parole e declina come «miserabile» l’ordine del giorno presentato. Proviamo a tradurre, magari, come fuori tema, fuori contesto e perché no, da usare anche strumentalmente. D’un tratto si materializzano i banchi alla sinistra tutti rossi e quelli dirimpettai tutti neri, altro che gli anni Ottanta di Renzo Arbore. Mimmo Bevacqua la sua l’aveva già detta in materia.

Ad un certo punto ne vuole dire di più e si sovrappone a Irto e Baldo Esposito chiedendo il ritiro dell’ordine del giorno. Anche qui proviamo a tradurre, quantomeno la logica dell’iniziativa.

Perché non lavorare nella capigruppo così da arrivare in aula con un documento condiviso sul migrante ucciso, risparmiando ai posteri il rosso e il nero dell’aula diventata surreale? Bevacqua prova a mescolare questa (sacrosanta) esigenza con quella (strumentale) di rimettere benzina in una maggioranza che stava rischiando di finire una serata unita sulle note dell’Internazionale socialista ma non fa in tempo a raccogliere i frutti che gli piomba Giudeandrea con i suoi decibel, «ma perché non ti fai mai i fatti (cazzi) tuoti?». Apriti cielo. Bevacqua non se la tiene e rialza il volume a sua volta. Irto lo redarguisce, prova a mettere ordine, ma non è cosa.

Si muovono persino i “gendarmi” del servizio d’ordine tanto è tesa l’aria ma è un eccesso di prudenza. Bevacqua è insolitamente surriscaldato e pesca dal mazzo pure Romeo a quel punto, come dire ora che ci siamo ce n’è pure per te.

Le accuse, più o meno, quelle di sempre e cioè di un gruppo del Pd che non c’è, che non è mai esistito, che non è mai stato convocato formalmente. Cosette da niente per uno che dovrebbe guidarlo.

Quando a lavori (?) in aula chiusi (non è stato approvato niente di niente perché nel frattempo la minoranza, con l’aggiunta di Guccione e Ciconte, aveva abbandonato l’aula) Giudiceandrea si avvicina a Bevacqua e scopre cosa vuol dire, in termini acustici, finire “a quel paese” in piena notte. Sì, perché è piena notte ormai ed è anche oltre l’una quando proprio Bevacqua scrive un post amarissimo nella chat del gruppo del Pd…

«Cari amici e compagni, credo che non possa passare come un episodio qualsiasi quanto si è verificato oggi in consiglio regionale tra me e il collega Gidiceandrea. Mai avrei immaginato uno spettacolo come quello di stasera e la mancanza di iniziativa dei colleghi in merito alla vicenda. Rifletterò seriamente sull’accaduto, valutando se convegna far parte di un gruppo dove non esiste per nulla solidarietà e comprensione reciproca. D’altronde credo che ciò costituisca il limite di questo gruppo e di ognuno di noi…Ritengo pertanto non più rinviabile una discussione tra di noi. Notte… ». E sogni non certo d’oro…

                                                                                                                        Domenico Martelli